venerdì 19 febbraio 2016

L'Arte Venatoria ai Tempi del "Progresso".

Con questo breve scritto non vorrei peccare di presunzione nell'avvalorarmi le ipotesi e i temi sostenuti, ma è un invito per tutti coloro che senza tesi convalidate si fanno persuadere da pregiudizi infondati.

Oggigiorno la Caccia sta divenendo sempre più un argomento arduo e critico da dibattere.
La sveglia prima dell'alba, il profumo del caffè, quel freddo che racchiude brividi di passione e il calore di un abbraccio... La Caccia non è un effimero divertimento, come spesso viene semplificato, è una cultura antica, una passione
nobile contornata da vere emozioni; basti pensare al comportamento del Cacciatore, che trascorre il suo tempo ad ascoltare la Natura, osservando la Fauna per studiarne il comportamento; l'Emozione per essa non si esprime esclusivamente nell'atto finale della detonazione, si interpreta e si riconosce nelle lunghe passeggiate nei boschi, nelle valli, sulle montagne: con i suoi inebrianti odori, con i suoi infiniti colori.
Il problema più grande della mancanza di Selvaggina nel nostro paese non crediate sia da attribuire ai Cacciatori; non è così, il discorso è molto più complesso.
Il numero delle "Doppiette" è diminuito notevolmente dall'apertura alla chiusura della stagione Venatoria rispetto al passato, per molteplici ragioni:
vuoi per la metamorfosi della condizione umana all'interno della società, chiamata "Progresso"; vuoi per la situazione che la caccia stessa sta vivendo in termini politici: tasse cospicue in relazione agli ambiti territoriali di caccia sempre più ristretti, calendari venatori "tirati", emandamenti ridicoli, ripopolamento della selvaggina stanziale quasi inesistente in gan parte delle regioni Italiane.
Per non parlare delle trasformazioni che il nostro pianeta sta subendo, la superficie non antropizzata, coltivo o boschiva che sia, si è tragicamente ridotta, e molti di quegli appezzamenti coltivati sono "nutriti" con diversi prodotti chimici che non giovano alla salute di nessun essere vivente.
Nell’ orto impariamo che la terra fertile è un terreno vivo che contiene miliardi di organismi viventi per ogni centimetro cubo. Questi batteri del terreno portano avanti diverse trasformazioni chimiche che sono cruciali per sostenere la vita sulla Terra. Data l’ importanza basilare del terreno vivo, dobbiamo conservare l’integrità dei grandi cicli ecologici nelle nostre pratiche di orticoltura e agricoltura. Questo principio è incorporato nei metodi di coltivazione tradizionali.
Ogni anno i contadini seminavano colture diverse applicando la rotazione dei terreni, di modo che l’ equilibrio del terreno venisse conservato. Non occorrevano pesticidi, dato che gli insetti attratti da una coltura sarebbero scomparsi con la successiva. Invece di utilizzare fertilizzanti chimici, i contadini arricchivano i loro campi col letame, restituendo in questo modo materia organica al terreno e facendola rientrare nel ciclo ecologico.
Circa cinquant’ anni fa questa antica pratica della coltivazione biologica è cambiata drasticamente con la massiccia introduzione di fertilizzanti e pesticidi chimici. La coltivazione chimica ha seriamente disgregato l’ equilibrio del nostro terreno, e questo ha avuto un impatto violento sulla salute animale, dato che ogni squilibrio nel terreno incide sul cibo che vi cresce e perciò sulla salute delle creature che vi si nutrono.
Le temperature sono in aumento a causa del riscaldamento globale o più comunemente chiamato surriscaldamento climatico riconducibile all'incremento della concentrazione atmosferica dei gas serra, in particolare dell'anidride carbonica.
Tornando al mondo animale se parliamo della selvaggina migratoria ovvero quella che transita per il nostro territorio, con possibilità di sostarvi per un certo periodo e semmai nidificarvi nei periodi di svernamento, è stata una delle peggiori di sempre a detta di molti vecchi Cacciatori; in molti crediamo che l'aumento esponenziale delle temperature nel 2015 su gran parte dell Europa orientale fino alle latitudini Asiatiche abbia bloccato la migrazione (in particolare di Tordi Bottacci, Tordi Sasselli, Cesene) e quindi la permanenza nelle zone di nidificazione, poiché le temperature durante tutto l'inverno non sono mai state troppo rigide, molte volte restando ampiamente sopra gli 0°centigradi.
La migrazione e' un evento biologico che induce la selvaggina a migrare in cerca di cibo oltre che alle condizioni ambientali idonee per poter sopravvivere, ma se ciò di cui necessitano per la sopravvivenza lo possono trovare alle stesse latitudini nelle quali si riproducono è possibile che non sentano la necessità di migrare e rimangono nei loro paesi di origine?
Un'altra avvalorata ipotesi è quella di una cattiva nidificazione nei luoghi di riproduzione, ovvero se una o due covate su tre non si siano concluse positavamente, ecco che il contingente si riduce di gran lunga.
Gli habitat e la presenza di pasture che un tempo offrivano riparo e nutrimento a diverse specie oggi sono sempre più in diminuzione, implicita anche l'estensione dell'urbanizzazione, per cui gran parte della selvaggina stanziale (ovvero quella che vive e si riproduce nel nostro territorio, senza migrare come Sterne, Fagiani, Pernici, Lepri) che un tempo è stata protagonista in diverse cacciate dei nostri Nonni, al tempo d'oggi scarseggia o sarebbe quasi estinta se non fosse per il ripopolamente (quando avviene) negli ATC e nelle Aziende Faunistico/Agrituristico Venatorie.
Ragion per cui, come abbiamo anticipato precedentemente, il territorio ha subito notevoli cambiamenti, e dove non è arrivato esplicitamente il "cemento", la stessa natura tacitamente si è trasformata. Ad esempio nel Monferrato una quarantina di anni fa c'era l'80% di superficie coltivata ed il 20% di bosco, ad oggi le percentuali si sono invertite causando quasi la scomparsa della stanziale; contrariamente c'è stato un gran popolamento di Ungulati, e dove un tempo si potevano cacciare Quaglie, Tortore e Allodole oggi si trovano più Beccacce.

Vorrei concludere con questa citazione di Hermann Löns, che racchiude gran parte dell'essenza sulla Caccia:

La precisione di tiro non basta per essere un buon cacciatore.
Colui che possiede esclusivamente questa capacità, farebbe bene a restarsene a casa.
Ma chi ama la fauna e il bosco anche quando non risplende il fuoco, non si ode il fragore dei fucili e va fuori anche durante il periodo di divieto di caccia, quando la terra e gli alberi sono congelati o coperti di neve, quando il cibo scarseggia, il bisogno è massimo e la morte raggiunge l'animale selvatico...
Solo colui che scongiura la morte curando, nutrendo e proteggendo gli animali, merita di essere chiamato Cacciatore.
Daniele

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